GLI
INDUMENTI DEL RITO
a cura di Enoch Eliau S.I.I. Gran Maestro Aggiunto dell'Ordine
L'alba
L'alba è una tunica di lino o cotone di colore bianco.
Il martinista è tenuto a indossare questo indumento quando è chiamato a operare ritualmente.
Esso ricorda il primitivo stato, prima della caduta adamitica, in cui l'uomo, Adam, era in possesso delle primitive
potenze e virtù spirituali e divine, che si manifestavano con quello che comunemente chiamiamo corpo di gloria:
oggi, faticosamente da ricostruire. Se l'alba è indossata con questo stato di coscienza per tutta la durata delle
operazioni, non farà dell'uomo che se ne riveste solo un monaco (al martinista è associato anche il nome di
combattente) ma anche un risvegliato; per introdursi a ciò bisognerà essere consapevoli che non è la tunica a far
trasformare l'uomo che la indossa, ma è l'uomo a operare questa trasformazione di se stesso, mediante l'utile
strumento della veste; dal semplice uso di questo costume scopriamo che tutto l'iter martinista dev'essere inteso
come un volgersi all'interno di se stessi, un continuo esser presenti a se stessi proprio in vista della nostra
reintegrazione nelle primitive virtù e potenze spirituali e divine...
L'alba che indosserà il martinista, se visibilmente sarà composta d'un tessuto bianco, invisibilmente avrà uno
spettro molecolare sensibilmente diverso dal comune: essendo stata consacrata ritualmente dal sacerdote dell'Ordine
o Superiore Incognito, avrà la particolarità d'esser in sé separata: sacra, possedendo dei vettori d'energia
incomparabilmente superiori alla norma. E questo implica una marcia in più per chi userà questo strumento, marcia in
più che è stata comunque affidata a chi già ha avuto l'iniziazione martinista, che è un'iniziazione reale, cioè la
trasmissione reale di un potere spirituale da un uomo ad un altro uomo mediante un rituale tradizionale; e ciò per
evitare dei danni irreparabili.
Perché questo indumento è bianco?
Perché il bianco rappresenta la sintesi dei sette colori dell'arcobaleno: li racchiude, li amplia, ed indica già al
neofita la strada alla quale è diretto: verso la luce, or (in ebraico). E non solo, il bianco ricollegandoci alla
purezza, ci riporta alla memoria storica del nostro primitivo stato innocenziale dell'Adamo dei primordi: l'Adam
Kadmon.
PURIFICAMI CON
ISSOPO E SARÒ NETTO,
LAVAMI E SARÒ PIÙ BIANCO DELLA NEVE
(Salmo 51)
Ciò indica un asserto fondamentale: che la purificazione
è il fondamento di tutta l'operatività martinista, con o senza alba: l'alba comunque ce lo ricorda, e chi è in grado
sa indossarla sempre.
L'azione rituale di colui che è purificato o avviato alla purificazione è diametralmente opposta a quella del non
purificato; per questo c'è, a partire dal primo grado, nell'operatività dell'Ordine, il cosiddetto rito del
novilunio (rito massimo di purificazione), senza aver effettuato il quale ogni operatività martinista è preclusa per
tutta la lunazione.
Il cordone
Se il martinista fosse solo un monaco sarebbe sufficiente utilizzare l'alba, come detto. Essendo anche un
combattente , vediamo il martinista che si accinge al rito, dopo aver indossato la candida tunica, cingersi alla
vita il cordone.
Il cordone, quindi, (anch'esso consacrato, al pari dell'alba) può essere associato al combattimento; cingendolo ai
fianchi ci isola dalle forze inferiori: anche qui non dobbiamo intendere queste forze come esterne a noi, ma forze
che sono all'interno di noi.Il martinista come ogni reale iniziato sa che la visita regale verso la quale è diretto,
è solo all'interno di se stessi; se non si parte da questo, se si è tentati di credere che solo forze esterne
vogliono intralciarci il cammino, si è sotto l'impero dell'illusione.
Noi sappiamo che l'unione verbale, che il nostro primitivo femminile (Eva) ebbe con l'allegorico serpente, non fece
altro che generare il figlio di questa cosa, cioè l'uomo attuale, in grado di ospitare sia il bene, sia il male. Sta
a noi scegliere questo o quello, coscienti che ora non siamo tutto bene o tutto male e che conserviamo sempre un po'
dell'uno, un po' dell'altro in un rapporto inversamente proporzionale. Noi sappiamo quindi che l'utilità del cordone
consiste nel dividere nettamente queste due potenzialità, per evitare la confusione generata dalla commistione delle
due qualità della forza una.
Quando Ermete Trismegisto suggerisce all'iniziato: ?separerai il sottile dal denso, delicatamente, con grande
cura?... fa pensare proprio a questo, al servigio che il cordone rende all'iniziato, poiché le forze inferiori non
debbono prevalere sulle parti nobili dell'iniziato, vieppiù quando il voltaggio energetico diviene esponenziale, per
via dell'attività rituale, per via dell'immissione in un area sacrale dove ogni cosa, ogni atto, ogni parola, ogni
intenzione da parte dell'operatore o di colui che riceve il crisma dell'iniziazione, hanno una corrispondenza
rigorosamente ineluttabile con i piani sottili, che comunemente vengono chiamati ?mondi?.
Quando il cordone, durante il rito, viene consegnato al neofita, il maestro dice: Prendi questo cordone simbolo di
pazienza e di difesa... ?Difesa?, perché da quel momento in poi inizieranno le lotte contro le forze che tenteranno
di sbarrare il passo a colui che proverà la scalata verso la propria liberazione; ?pazienza?, perché una volta
intuito il percorso lo si vorrebbe fare tutto di corsa e subito, senza sapere che l'Arte è lunga e la vita è breve
(motto alchemico a noi noto).
Cosa ricorda il cordone? Le forze kundaliniche regolate dalla rigidità della forma; le forze che si dipartono dal
basso (il maschile e il femminile dei due lembi dell'unico cordone: apparentemente diviso) che si canalizzano
circolarmente alla vita, inanellandosi per tre volte nello stadio intermedio tra la vita e la morte: nel corpo
dell'uomo precisamente sull'area renale-ombelicale. Ciò rimanda al simbolismo del Giano bifronte: il primo giro si
volge verso il basso, il terzo verso l'alto: al centro l'intermedio che comunica con i due: ovvero la linea mediana
del Giano che tiene insieme le due cose (la porta del subcosciente e quella del supercosciente) per mezzo di quella
cosa una (la porta stretta) che possiamo definire la coscienza ordinaria, destinata per obbligo (quantomeno
all'iniziato) al risveglio.